sabato 18 aprile 2009

Il sabato del villaggio

Stordita dai postumi da cipollotto in pinzimonio della serata piacevolissima con le donne (e il gattone dal carattere difficile), mi presento al commissariato per essere interrogata sulla folgorazione. Il sovrintendente è giovane - quanto me :-)- e simpatico, capisco subito che siamo più interessati al sole che scalda i tetti e alla musica che esce tranquilla dalle casse accanto al computer. Espletata la questione me ne vado in passeggio per strade che non bazzico spesso. Si sta veramente bene. E le facce sono distese e colorate. E apprezzo un baretto gestito da un cinese molto gentile e sorridente che parla un perfetto italiano locale e a cui un paio di vecchietti mandano bacetti dalla vetrina. E incrocio passeggini di gemellini e pance enormi che esplorano le vie tranquille esibendo la rotondità nuda al sole. E i bambini sgridano la mamma che mi passa davanti nella fila in profumeria. E vado a salutare la "santona dell'erboristeria" che non vedo da un po' (da quando mi propose un rituale che per la sua oscenità non confesserò mai a nessuno e che subito decisi di non accettare). E riprendo la moto per avvicinarmi alla strada di casa e mi infilo fra le bancarelle dove le famiglie multietniche riempiono l'atmosfera di sorrisi e colori e sandali luccicanti e schiene muscolose e dentature smaglianti (gli uomini africani in versione acquisti per i bambini). I commercianti sono definitivamente in pace fra loro, italiani, cinesi e pakistani e si dicono stupidaggini in dialetto e in lingue che fino a qualche anno fa nessuno aveva mai sentito. Rientro sotto il temporale tropicale canticchiando al vento "mi sembravi carino, ti credevo tanto dolcino e invece eri un po' cretino". Che, strana cosa, il babà non si incrocia più per strada. Poco male. Fradicia e serena, contenta dell'attuale lavoro che mi permette sabati e domeniche di riposo, rientro in casa e mi schiaccio un meritato riposino mentre il cielo insiste con la perturbazione che concilia la siesta.

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