giovedì 17 dicembre 2015

Esiste una comodità opprimente? La perdita come si compensa?

Il mio collega mi confessava che stava meditando sulla vita che conduce ultimamente.
Troppo comoda, troppo chiusa, dice.
Capisco cosa vuole dire...
E ci ritroviamo d'accordo nel sentire la fatica di un'ordinaria routine rassicurante.
Che poi non è esattamente rassicurante, anzi.
Come se ci fosse una specie di livella che ha spalmato la nostra vita su poche scosse, su una rassegnazione che non si chiama così ma ci assomiglia tanto, troppo.
Per noi.
E ci sentiamo un po' contaminati...
Da quest'atmosfera torbida.

Epoca strana questa. Girano frasi strane, poco simpatiche.
Come quando ti chiedono come tu stia e si prodigano a sentenziare che, se non hai una malattia grave, sei fortunato. O anche quell'antipatica litania "il lavoro basta averlo, è tutto, non importa cosa".

E l'età...altra menzogna che introduce banalità. Per qualsiasi cosa sarebbe responsabile l'età.
E ti raccontano piccole stupidaggini che oggi che sei "grande" non si aspettano tu possa contestare.

Ho chiesto al mio collega cosa succeda.
"Mi sento rincoglionito pericolosamente dalla comodità di questa regolarità presunta".

Ha ragione, anch'io sono preoccupata, che non si può rinunciare ai sogni solo perché l'anagrafe dice...

Mi ha fatto tanto ridere!
"Che non voglio mica finire preoccupato delle bollette e del gatto, non voglio mica passare ore a scegliere la porta blindata solo perché ho una casa di proprietà".

Pensierini cretini.
 E ora che  la certezza  ha lasciato il posto ad un unico, enorme, onnipresente DUBBIO.
La precarietà, la minaccia della precarietà, il fantasma della perdita di quello che ti pareva aver raggiunto.

Dici gatto quando l'hai nel sacco.
Il sacco c'era, il gatto pure.
Ma...nessuno ci aveva avvisato che il materiale del sacco fosse a "scadenza": tutto il gatto e le sue pulci sono scivolati fuori dal sacco!