lunedì 14 gennaio 2019

Musica e vita di ogni giorno, banale nulla

Cubetto. Cubetto che mi porto al lavoro in uno stupido venerdì sera in cui mi tocca il turno del vampiro, il turno che inizia alle 22 e finisce alle 4 di notte. Il cubetto e la magica Suisse Jazz Radio fanno sensazione, creano la svolta che rilassa le colleghe e anche me. Diventa plausibile essere sereni e cercare l'armonia tramite un piccolo cubo che scaccia lo squallore di un lavoro che ci relega, noi, quelli degli orari che coprono le 24 ore, a tempi fastidiosi con voci irritanti (i clienti e i soci che sono in strada con le loro eleganti automobili e le loro menti e voci  per nulla eleganti).

Mi diceva un'amica che comincia a capire che la presenza del suo becero capo la mette di malumore...
E già. Come faccio a spiegarlo? Dove lavoro io il becero troneggia e spadroneggia.

Piccole note che non interessano a nessuno. Il collega a volte mi sgancia senza chiedere telefonate perchè lui "proprio non ce la fa"...
Mi è anche simpatico ma...
Una telefonata è di un utente di Corrente, il car sharing di cui siamo call center ed help desk.
Mi ritrovo basita a parlare con un ragazzo gentilissimo, normalisssimo. Che ha nome straniero. E mi chiedo quale sia la molla che fa scattare il razzismo. Perchè a me non succede mai di indispettirmi se mi capita uno straniero? Cosa crea quella strana alchimia per cui i miei colleghi si pongono con il rifiuto come unica prospettiva?
Altra telefonata è di quelllo stordito di Luminasi. Un disabile fastidioso che rompe un po' ma non particolarmente in modo diverso da mille altri tizi e tizie che telefonano.

Sono tanti i casi, tante le persone, tanto diversi gli uni dagli altri. Molti e molte fastidiosi, tanti, molti e molte efficaci e gentili, mi capita di scambiare parole di empatia e di stupirmi per la capacità di molti pezzi grossi di parlare in modo garbato e di condividere una semplice telefonata di servizio con modi umani e simpatici.
Perchè alcuni miei colleghi fanno tante telefonate polemiche e nervose con gli utenti?
Mi domando chi sia responsabile del tono della telefonata e come parta  il conflitto inutile e così comproducente per l'immagine dell'azienda.

Amiche? Vorrei dire a qualcuno che mi ha un po' stufato questo nostro comunicare non trasparente...
A qualcuna vorrei dire che mi piacerebbe tornare ad un modo più vero di parlarci. Ma forse è tutto mio il problema. Non mi risultano più credibili un sacco di frasi che mi arrivano alle orecchie...
Come se si siano tutti inventati un frasario standard, come se le varie scuse siano motivazioni universali a cui  e dovremmo far finta di credere...
Brontolino... brontolino...
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I LOVE scrivere

...un cartoncino adesivo con un piccolo cuore. Mi piace e lo attacco sul frigo. Il giorno dopo lui produce un bigliettino di tono contrario e lo appiccicca di fianco al mio.
Dubbi. Soltitudine. Impasse.
Ennesima o diversa?
Che succede?
Dove, quando mi sono arenata?
La crisi segna e indica. Indica che qualcosa va cambiato. Cosa? Tutto?
Cosa significa tutto?

Ogni lasciata è persa. Sono imbavagliata. Auto-imbavagliata.

Non riesco più a commentare, a dire la mia. Come se non ci fosse un "mio".
Oltre a questo silenzio e questo senso di abbandono in cui mi sento rinchiusa, auto-rinchiusa.

Il mio collega l'altro giorno mi ha esortato a trovare il tempo per "parlarmi". Ha detto che è pericoloso non darsi ascolto. Vero, verissimo. Dolorosamente vero.

Dalle piccole alle grandi cose, ristagno, vegeto, faccio il morto.
Ma il dolore non si sposta, rimane spalmato, impregna tutto.
Esci, vai all'aria. Sola? Sola fuori, sola dentro. Lo sai che l'aria ti fa bene, esci.
Non ci riesco. Non riesco più a creare relazioni. Nemmeno con l'asfalto e il cielo.
 
Distanze, quelle sì, ci sono, si ampliano, crescono. Crescono con il mio senso di delusione perenne.
Ormai siamo alla vergogna. Cosa vuol dire vergogna?
Vergogna per essere diversa in questo mio malessere, in questo mio sforzo non riuscito per rimettermi in armonia con il resto del mondo, un latente senso di colpa per questo mio sentirni isolata, fuori connessione con il mondo che corre e si incontra. Vergogna per il mio perdermi nella mia agorafobia e nel
Non riesco a sentirmi viva. Non riesco a vedere speranza davanti a me.
E la mia piccola anima ribelle?
Che egoismo in questo individualismo. Che spreco questa libertà. Libertà di seconda mano. Usata, logorata, lisa fino alla trasparenza. Una passeggiata che male può fare?

Parole trattenute, pensieri trattenuti perchè non espressi.
Non giudicare, lasciar andare, glissare.
Cosa rimane? Questo vuoto in uno spazio troppo grande o troppo stretto.
Scrivere? Una delle mille cose che ho smesso di fare. Quando? Perchè?

Mi sembrava di essere. Mi sembrava di avere un bel futuro. Finalmente una casa vera. Un tetto e una vita da vivere con qualcuno che si dichiara, seppur con alcune ambiguità, la mia "famiglia".
Eppure è scivolata via la vita ed è rimasta la lavatrice, la polvere, le litigate sul formaggio che non si dovrebbe acquistare in quantità da caserma. E io che mi sento senza una vita. Che mi sento ospite non pagante nella mia casa, nel mio letto. Letto con lenzuola e coperte da litigarsi. Io piccola, lui grande. Discussioni su dove debba essere posta una coperta. Ridiamo qualchla  volta. Qualche volta ci abbracciamo e tutto sembra possibile. Poi la routine riporta tutto al punto dolente. Io sono ferma. Immobile. Triste e mi sento in colpa perchè sono triste. E non ho più parole per nessuno. E mi sembrano tutti esseri che corrono e mentono. Non ci sono più le parole di un tempo. Solo messaggi Whatsap che mentono, mentono, mentono. Il vuoto riempito da disegnini e cuoricini e piccoli filmati inutili.

Messaggi lanciati come fossero cicche sul selciato, inutili, che non si capisce se siano comunicazioni o decorazioni, fiorellini stupidini a decorazione del nulla.

E poi ti domandi se ci sia un senso...e la radio suona cose belle che ricordano tempi in cui si perdeva tempo a parlarsi, a raccontarsi i propri sogni, i propri dubbi.
E si usciva per stare insieme, per scambiarsi idee e stupidaggini.
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