lunedì 22 febbraio 2010

L'anno che verrà

Ci siamo riusciti: il malato è finalmente uscito. Cinema e pizzetta, una ventata di normalità domenicale.

Film bello, fatto benissimo, emozionante e coinvolgente. Le inquadrature accompagnate dalla splendida fotografia, mostrano angoli dell'Appennino bolognese che conosco bene. Lo stesso colore dell'erba e delle strade, la forma degli alberi che si appoggiano sul pendio immerso nella foschia dell'umidità. Mi ricordavano i dintorni di casa di mia sorella o la casona dove ho passato un'estate qualche anno fa. E le facce. Le rughe profonde degli uomini che lavorano tutto il giorno all'aperto, gli occhi sereni e dolci dei contadini che mi ricordano quelli che ho conosciuto nella famiglia di una mia amica trent'anni fa. Il racconto del film è semplice, secco, privo di retorica. Sono le immagini a delineare i sentimenti. La storia la sappiamo tutti, descritta senza interpretazioni risulta ancora più forte, più crudele. Che la guerra ha la capacità di distruggere la vita, senza motivazioni, senza spiegazioni.
La bambina, nel suo assoluto silenzio, comunica la sua forza e la sua sofferenza rendendola portavoce della condizione di tutti. Per tutta la durata del film i suoi occhi sono i nostri. La scena finale con lei seduta sul ramo nella luce della sera che canta al fratellino neonato, pura poesia scevra di demagogia.

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