venerdì 22 gennaio 2010

Salutare distanza dai problemi altrui

Trovo un appunto su una pagina di un ricettario di un medico da cui sono andata qualche anno fa. Certo che né ho fatte di cose, mi dico. Scriveva questa frase per incitarmi a sotrarre e prescriveva goccette che dovevano aiutare.
Sono al quarto giorno di naso impazzito, starnuti e febbre che viene e va. Chiusa in casa mi godo la distanza dal lavoro e aspetto che le mie vie respiratorie si liberino. Vado comunque dal dentista, imbottita come un orsacchiotto e con le lacrime che scendono lentamente (ho solo gli occhi scoperti e il freddo scatena questa reazione). La situazione è seria, il da farsi implica impegno economico e giorni difficili. E assenza dal lavoro, qualche giorno assolutamente. Come?
Vorrei il mio libro collega-malanni, devo farmelo rendere.

Sotto la lampada del dentista scruto gli occhi turchese della mia amica. La sua mano precisa cerca soluzioni e gratta dove può. Le scappa un "come mi dispiace" e so che parla con due denti che sono stati condannati a morte. Mi lascia respirare, ogni tanto. Male? No, queste cose non mi fanno male. Cerco idee per svoltare, le dico. Saggiamente risponde che non si tratta di svolta ma di aggiustare la rotta. Concordo: cominciamo a sistemare gli errori.

E penso a quella tensione che mi comunicava ieri Paperina, ha ragione ma la sua aggressività nei confronti delle persone in difficoltà era comunque sospetta. Ecco, forse un sano silenzio sarebbe meglio. Che certe frasi mi ricordano tanto quella corrente che separa il mondo in vincenti e falliti. E non mi piace, oggi come ieri. La ragione che chiede felicità e non opressione va bene, il sano distacco dai problemi degli altri sì, uscire dalla sindrome della crocerossina, certo. Ma senza giudizio, senza confronto, senza condanne.

E se la felicità non riesce a "contagiare" siamo tutti destinati a farci condizionare solo dalla disperazione? Che freddo! Per la prima volta conosco gli spifferi di casa mia.

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