sabato 7 marzo 2009

Dense storie di qualche minuto

Mr Mc Guinness, come la birra, arriva sorridente con il passaporto in mano. Me lo porge, scambiamo le due parole d'obbligo, ci sorridiamo e sale in camera. Un'ora dopo, venti partenze dopo, mentre cerco di far quadrare i conti, alzo gli occhi e vedo una persona che mi sorride. Qualche secondo e capisco che è lui. Che quasi ride: indossa un abitino frivolo, coloratissimo, corto al ginocchio con abbondanti spacchi, sandali estivi tacco 20, i capelli ora sono vaporosi, lunghi e profumati, le labbra rosso fuoco.

Sofia, il suo panda e il padre-bambino oggi entrano a farmi visita. Mentre stampo la password per internet, lei stringe forte il peluche e piange disperata, piano, senza lacrime. La mano stretta a quella di lui. Più tardi ritornano e mi lasciano le chiavi (non lo ha mai fatto). Capisco che lei vuole rompere il ghiaccio. La saluto chiamandola Pandina, finalmente sorride e anche il padre. La terza volta vuole solo dirmi che si chiama Sofia, le chiedo come si chiama il panda. E' ancora senza nome. Stabiliamo che oggi deciderà e che la prossima volta che verrà a passare i due giorni di visita con suo padre me lo dirà.

Francesco è piccolissimo. Neanche due anni. Suo padre abita lontano, anche lui. Cammina, un po', poi cade e viene sollevato insieme alla valigia. Arrivano e mi riconosce subito, salutano i due leoni che stanno a guardia del negozio di fianco all'albergo, fa loro due carezze dicendo "grande" poi entra di corsa per andare a prendere le caramelle sul tavolino della hall. Quando rientrano dal pranzo in trattoria mi mostra la sua tigre di plastica e mi dice cinque volte "io sono stanco".
Quando partono mi salutano con la mano.

La signora mi racconta che praticamente non dorme da venti giorni, poi che verso sera arriverà una fontana per lei. Ci guardiamo e non tratteniamo una risata. Non si offende, ride anche lei. Ci rassicura sulle misure dell'oggetto misterioso. Complicatissimo spiegare a chi si dichiara pessima guidatrice come andare a ritirare la fontana di Trevi (giustamente così battezzata dal mio collega)nel luogo più out of limits della città. Rientra e ci dichiara che la fontana arriverà in albergo in quattro pezzi e che forse riuscirà a caricarla in macchina.

Salvador mi dice di sua sorella. E finisce per imbastire un racconto di vita. Mi parla della sua famiglia, dei suoi amori, del suo mutuo a Barcellona, dell'essere innamorati di una persona che conosco bene (me ne rendo conto solo ora). Si decide per una pizza in cui farò il terzo incomodo fra due fidanzati. Poi si sfoga e mi dice: "Quando mi chiedono se potessi scegliere, se vorrei rinascere gay, rispondo ASSOLUTAMENTE NO". Sorrido dolcemente. Mi spiega un pochino poi mi lascia andare ricordandomi che sono sveglia dalle cinque e trenta.

La collega marocchina dal carattere impetuoso e dai gesti volgari e divertenti, che il capo definisce un "cavallo pazzo", viene a salutarmi (oggi non lavora). E finisce per mostrarmi una ventina di piccole fotografie stroppicciate. Deliziose foto tessera con i bordi ricamati. Occhi nerissimi di bambini vivaci, sue foto che non le assomigliano per nulla, sorelle, cugine, figli, fratelli con i baffoni. Piccole immagini con la minuscola scritta in arabo. Scappa via dicendomi che era bella, quando aveva una vita. Deve andare a badare il vecchietto capo della famiglia dei suoi padroni schiavisti.

Che di tanti colori è pieno il mondo.

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