venerdì 18 aprile 2008

Quartieri

Capita di camminare per dieci minuti in un quartiere e vedere cose che a volte dimentico ci siano.
C'è il bar tirato a lucido frequentato dai soliti vecchietti, con la sala fumatori più grande dell'altra, rinchiusa da ampie vetrate.
C'è la profumeria che vende sottocosto prodotti di marca formato famiglia, seduta in un angolo del banco anni sessanta si intravede dalla vetrina la settantenne proprietaria con la tazzina del caffè in bilico sulla cassa e la pettinatura azzurrognola che fa tanto anni sessanta.
C'è la tabaccheria con slot machine e avventori gentili che parlano vari gradi di italiano da stranieri e da regioni varie dello Stivale.
C'è il mitico luogo dove avevo il mio appuntamento odierno: lo studio della podologa.
La mamma e la figlia, entrambe improbabili tagli di capelli aggressivo-trasgressivo, orecchini e bracciali in abbondanza, jeans carichi di paillettes e applicazioni, stivali colorati e appuntiti. Sorridenti e accoglienti.
La "hall" zeppa di ritagli e fotografie di ogni sorta di cuccioli d'animali, domestici e non, affiches varie di associazioni di volontariatoe leghe anti vivizezione etc.
Le solite due sedie di plastica che potrebbero fare bella mostra di sè in un mercato di modernariato, tavolino adeguato ricolmo delle riviste d'ordinanza: OGGI, VISTO, NOVELLA 2000, STARBENE e, guai mancasse, SORRISI E CANZONI TV.
Si parla di animali, di cani e di gatti. Di ex mariti, di serial e telefilm.
Il trattamento è risolutore e scientifico. Onesta la richiesta economica.

Mi tocca girare dieci minuti per assurdi sensi unici (i quartieri popolari devono obbligatoriamente avere questi percorsi paranoici?) e mi godo ancora un po' di vita di quartiere: i negozi di periferia con vetrine che mostrano abiti femminili pieni di lustrini, brillantini e colori sgargianti; alimentari che espongono merci degne di un mercato magrebino; nonne e nonni che trascinano la loro vita per le strade grigie e polverose, ragazzini in bicicletta, donne indiane avvolte nelle meravigliose stoffe colorate con ai piedi nike all'ultimo grido e ancora bar e uomini in tuta da lavoro, furgoncini di idraulici e imbianchini...
Il tutto mi appare di una serenità disarmante, come se ci fosse nella vita di una città un gioco di ruoli e appartenenze che resistono ad ogni interpretazione.
Come se la vita "ordinaria" avesse una forza e una fragilità unica.

Rimango della mia idea:
le opportunità sono distribuite in modo non equo.
Ma la dignità appartiene a tutti quelli che scelgono di sposarla.
E la gentilezza anche.

(che non è un dono di casta ma una realtà libera da schemi precostituiti)

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