domenica 19 febbraio 2012

Sul concetto di volto nel figlio di Dio

Vado a vedere lo spettacolo senza aver letto critiche e polemiche. Avevo deciso di fare così per avere la possibilità di capire cosa fosse senza pregiudizi o pre-interpratazioni, per vedere con i miei occhi, per partire dallo spettacolo.

Mi è piaciuto? Sì, lo trovo forte e tenero, duro ed ermetico solo se gli si chiede di rispondere a qualcosa che nulla ha a che fare con lo spettacolo stesso.
Ho visto descrivere con tenerezza e semplice realismo senza retoriche una condizione vera e umanissima di difficoltà in cui molte persone si trovano tutti i giorni quando devono gestire la malattia e il decadimento di una persona amata.
Il ritratto di Gesù era bellissimo e il fatto che facesse da sfondo mi ha fatto solo ricordare come ci si senta di fronte allo struggimento che ti prende quando passi mesi di fianco a qualcuno che sta male, che dimagrisce a vista d'occhio, che rimane quello che ami fino all'ultimo, fino a quando capisci che non c'è via di ritorno.
Il volto di Dio...la speranza che un senso ci sia, che ci sia un segno di sollievo nella dolcezza che comunque può esistere se rimane l'amore che non lascia soli davanti alla semplice materia che distrugge l'uomo del quotidiano.
Amore di Dio, amore dell'uomo, dell'umanità che accoglie e accarezza?
Che importa? Il solito errore che tanto male regala: spiritualità nulla ha a che fare con la chiesa, con l'istituzione chiesa, spesso neppure ha bisogno della religione "codificata".

All'uscita da teatro...io non avevo visto feci lanciate sulla tela. Non ho visto offesa o provocazione o critica alla religione. Ho visto piuttosto una condizione umana e un dubbio figlio della fatica del vivere, un appello a capire e condividere chi si sente stanco e perso, bisognoso di sostegno.
In verità non mi ha stupito o colpito particolarmente la seconda parte, quella incriminata se non per il modo forte e originale col quale voleva, secondo me, solo mostrare la potenza di un sentimento, umanissimo e doloroso
di smarrimento.

Poi sono andata a cercare cosa si è scritto.
Non credo di condividere molto di quello detto a difesa dello spettacolo, non sono particolarmente affascinata dalle parole del Castellucci. Però leggo qualche riga di una sua intervista:

"Questo spettacolo mostra, nel suo finale, dell’inchiostro nero di china che emana dal ritratto del Cristo come da una sorgente. E tutto l’inchiostro delle Sacre Scritture qui pare sciogliersi di colpo"

"Tu non sei il mio pastore. La frase di Davide si trasforma così per un attimo nel dubbio. Tu sei o non sei il mio Pastore? Il dubbio di Gesù sulla croce – “Dio perché mi hai abbandonato?” – espresso dalle parole stesse del salmo 22 del Re Davide. Questa sospensione, questa intermittenza della frase, racchiude il nucleo della fede come dubbio, come luce, come l’incerta condizione umana".

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